di Alessandra Quattrone
I bambini fin da piccoli hanno le idee chiare. Si vedono già davanti allo specchio con la loro divisa da pompiere per salvare il mondo, con il camice da medico per aiutare i malati, con il caschetto e la cazzuola da muratore per costruire tante belle case, giocano al ‘’supermercato” immaginando di passare le confezioni alla cassa e dare il resto all’amichetta-cliente, o nei panni del veterinario e recuperare i cuccioli indifesi. Ci sono tante cose da imparare dai cuori puri dei bambini: la non-prevaricazione, innanzitutto. Quella, la prevaricazione purtroppo, si innesta nel dna dei ragazzi come una mutazione genetica, secondo un’ereditarietà che si tramanda di generazione in generazione e manifesta i suoi primi sintomi nell’età adolescenziale, quel periodo della vita in cui ogni ragazzo dovrebbe invece cominciare a percorrere i suoi primi passi da solo, seguendo inclinazioni e talenti. Il giudice minorile Di Bella ha avuto la meravigliosa intuizione di capire che un bambino, allontanato da una famiglia che non gli darà modo di scegliere liberamente al bivio, sarà nella maggior parte dei casi un adulto più felice. Immaginatevi di crescere senza il tepore della quotidianità e degli affetti, svegliati alle tre del mattino con i poliziotti che vi strappano dai sogni per rivoltare casa come un calzino, frugando tra i giochi e la vostra intimità, con il rumore dei loro passi che nel cuore della notte rimbomba nelle orecchie, alla ricerca di qualcosa che un bambino non sa spiegarsi. Ma i bambini tante domande se le fanno: si chiedono perché la loro mamma piange ed è preoccupata, perché papà sta lontano da casa, perché non si va tutti insieme il sabato a fare la spesa, perché la sera non ci si ritrova a tavola per la cena a commentare e ridere della giornata trascorsa, perché bisogna mostrare a tutti di essere più forti. Un bambino che rimane senza risposte è un adulto infelice perché l’unica alternativa, inculcata, che gli si pone davanti, è una vita di ansiolitici e fughe da questo e quel pericolo, nella costante affermazione che se hai armi sei più forte, che i soldi in tasca non ti mancano, che puoi avere il mondo in pugno. Dei re che poi finiscono a governare il loro territorio da un bunker per topi, prima, e da una cella in 41bis dopo, e mancano nei momenti più belli dei loro figli, i primi passi, la caduta di un dentino, il primo giorno di scuola. 40 bambini, dal 2012, sono stati allontanati dal Tribunale di Reggio Calabria dai loro nuclei familiari, offrendo loro la possibilità di tracciare un orizzonte da soli, lontano dal destino che aveva inizialmente previsto in eredità la guida di un clan, seguiti anche dalle loro madri, donne esasperate e con il cuore sanguinante. E poi ci sono anche loro, permettetemelo di dire, dei papà provati dalle sofferenze che gioiscono con orgoglio ai risultati scolastici dei figli, che li incoraggiano, che li immaginano lontani dai patimenti, realizzati. Sono dei papà rari ma ci sono. “Liberi di scegliere”, mandato ieri in onda su Rai 1, ci ha restituito la fotografia delle afflizioni di molti ragazzi che con successo si sono liberati dal mantra della ‘ndrangheta, in una narrazione pulita, nitida e senza esasperazioni cinematografiche. “Domè” è il simbolo di chi si è veramente ribellato, con i fatti, ad un destino scritto che lui ha riscritto, grazie all’esempio di chi non si è limitato a discorsi triti e ritriti e ramanzine sulla legalità. E, vi prego, fidatevi di questi ragazzi, sostenete i loro sogni. Non abbandonateli al pregiudizio che siano, solo, figli di 416bis.